La valutazione dei rischi: esistono margini di miglioramento?
tratta da puntosicuro.it
Gli infortuni sul lavoro ancora oggi accadono in numero troppo elevato. Qualcosa dunque non funziona nel modo di valutare i rischi e di formare le persone? Alcune proposte migliorative a cura di A. Mazzeranghi, F. Coucourde, R. Mariani.
La domanda del titolo ce la poniamo da tempo, ovvero da quando da una parte le aziende iniziano ad avere un documento di valutazione dei rischi degno di questo nome, dall’altra gli infortuni che ancora oggi accadono in numero troppo elevato sono sempre più spesso causati da errori comportamentali che derivano da una mancata percezione del pericolo/rischio.
Qualcosa dunque non funziona nel nostro modo di valutare i rischi e di informare e formare le persone sugli stessi?
Proviamo a fare il punto. Sinteticamente oggi la valutazione dei rischi dei luoghi di lavoro viene organizzata come segue.
– SI valutano i rischi propri di determinati oggetti fisici: luoghi di lavoro, macchine e impianti, impianti elettrici, luoghi dove si possono formare atmosfere esplosive ecc.
– Si considerano poi a parte i rischi legati a determinate operazioni o a fonti particolari: movimentazione manuale dei carichi, lavori in altezza, radiazioni ottiche artificiali, rumore ecc.
– Tali rischi si riconducono, in forma sintetica, alle mansioni, che poi rappresentano le persone che operano in azienda (ogni lavoratore ha una unica mansione, e quindi è esposto esattamente ai rischi di quella mansione).
Se tutto funziona correttamente il risultato è interessante; precisiamo che l’attribuzione dei rischi alle mansioni è fondamentale per il protocollo sanitario e per la informazione/formazione dei lavoratori.
Però questo approccio che possiamo dire “classico” evidentemente NON è totalmente efficace!
Ad oggi chi scrive si sente di affermare che da quanto sommariamente descritto mancano due elementi importanti:
– la valutazione dei rischi delle attività;
– la valutazione dei rischi dei processi.
Prima di procedere a discutere i due argomenti vorremmo chiarire che sicuramente ci saranno altri punti deboli che altri riusciranno ad identificare; non intendiamo quindi che l’idea che esporremo sia esaustiva, bensì solo migliorativa dell’attuale stato dell’arte.
La valutazione dei rischi delle attività
Non è un’invenzione: secondo noi ne parla (quasi esplicitamente) il capo I del titolo III del D.Lgs. 81/2008 quando afferma (articolo 71 comma 2): “All’atto della scelta delle attrezzature di lavoro, il datore di lavoro prende in considerazione: a) le condizioni e le caratteristiche specifiche del lavoro da svolgere;”. Inoltre ricordiamo che il DVR deve contenere la valutazione di tutti i rischi, e che i lavoratori devono essere informati e formati in relazione a tutti i rischi (residui) a cui sono esposti durante il lavoro.
Vediamo però cosa intendiamo parlando di rischi delle attività, concentrandoci per praticità sul settore delle attrezzature di lavoro a cui si riferisce il citato articolo 71.
Evidentemente i rischi residui propri di una determinata attrezzatura sono già ben noti al momento della progettazione e fabbricazione della stessa, e possono essere facilmente indicati dal fabbricante. Si tratta però di quelli che l’articolo 71 cataloga come “c) i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature stesse“, mentre il progettista non può conoscere nel dettaglio come si lavora su e con l’attrezzatura. Questo è assolutamente vero per macchine a impiego più vario (macchine utensili), sembrerebbe esserlo meno per macchine a impiego più delimitato come possono essere una linea di confezionamento detersivi liquidi o una macchina di trasformazione rotoli (carta da cucina e carta igienica) o un impianto per la produzione di cartone ondulato. In verità anche su questa seconda tipologia di attrezzature sui modi di lavoro esistono molteplici possibili varianti determinate sia dal prodotto che dalla prassi consolidata in azienda.
Ne segue che determinate situazioni possono essere valutate dal punto di vista della sicurezza solo tenendo conto del modo di eseguire le attività lavorative necessarie.
Come carico un cilindro su un tornio parallelo di grandi dimensioni? Dipende anche dal lay out di reparto, dalle attrezzature di sollevamento, da come il tornio è posizionato rispetto alle aree di deposito ecc.
Oppure come carico la bobina madre di carta su una macchina che la trasforma in rotoli di carta da cucina? Dipende, come prima, da molteplici fattori che sono del tutto al di fuori del controllo del progettista della macchina.
Infine, come garantisco la messa in sicurezza di una macchina? Dipende principalmente dalle prassi aziendali.
Se questi aspetti non vengono considerati in fase di valutazione dei rischi, l’effetto è quello di:
– non informare i lavoratori di determinati rischi presenti in azienda, o di informarli in forma troppo generica;
– operare secondo prassi che possono cambiare da operatore a operatore e che non sono sicuramente ottimizzate sotto il profilo della sicurezza.
Ovviamente a questi si aggiunge un effetto di sistema: in caso di infortunio si potrebbe affermare che la valutazione dei rischi era incompleta o inadeguata, e quindi ricondurre l’infortunio a una mancanza organizzativa ipotizzando dunque una responsabilità amministrativa della azienda.
A questo punto dobbiamo domandarci se e come sia possibile valutare i rischi delle attività lavorative.
Dobbiamo subito fare una precisazione; non possiamo riferirci che ad attività note, e relativamente ripetibili e ripetitive, come quelle sopra citate. Dobbiamo necessariamente escludere le attività occasionali e non ripetibili come quelle che caratterizzano, per esempio, la manutenzione su guasto.
Torniamo alla esecuzione della valutazione: è necessario che qualcuno esegua la attività e si osservi (osservi se stesso), e venga osservato da altri soggetti, per capire a quali rischi effettivamente si espone, se sia possibile evitare di esporsi e/o quali possano essere le migliori misure di mitigazione dei rischi. Osservare, quindi, per valutare ma anche per confrontare prassi operative diverse che possono convivere nella medesima realtà aziendale.
Da quanto sopra emerge che nella attività di valutazione devono essere coinvolti gli operatori addetti alla attività oggetto di valutazione, chi normalmente ne è il preposto e… qualcuno che abbia le due seguenti caratteristiche:
– non essere direttamente coinvolto nella attività oggetto della analisi, ma avere una visione più ampia delle problematiche di sicurezza;
– sapere “dominare” la metodologia di stima e valutazione dei rischi.
La tentazione, osservata in alcuni contesti, di demandare interamente le attività di valutazione al personale direttamente interessato, deve essere assolutamente evitata.
L’affermazione: “il reparto deve valutare i rischi e definire le modalità operative più sicure” è errata. Diciamo questo non per una qualche ragione filosofica ma per averlo osservato ripetutamente. Chi opera in un certo contesto tende a dare per scontate determinate condizioni che invece non lo sono. E così facendo spesso non identifica alcuni pericoli/rischi anche rilevanti.
Un esempio legato al settore del confezionamento detersivi dovrebbe chiarire il punto: una macchina per raddrizzare flaconi in occasione del cambio formato richiede la sostituzione di tutti i settori di un elemento circolare che ruota intorno a un asse orizzontale. La operazione non può essere effettuata con la macchina sezionata in quanto dopo la sostituzione di un settore l’elemento ruotante si deve muovere di un passo per esporre all’operatore addetto il settore successivo. Quindi si procede con le protezioni della macchina aperte e, prima di ogni intervento di sostituzione del settore, l’addetto mette la macchina in emergenza per garantire che la stessa non si muova. Non è chiaro a nessuno degli interessati che in caso di mancato azionamento dell’emergenza la macchina si potrebbe muovere non solo per un azionamento volontario da pannello, ma anche per un guasto o malfunzionamento del PLC (avviamento intempestivo).
Già è difficile ricordarsi di premere ogni volta l’emergenza (il lavoro è ripetitivo), se poi non si dichiara apertamente il rischio di avviamento intempestivo tale azione potrebbe anche apparire superflua. È vero che l’avviamento intempestivo ha una probabilità bassa, ma la gravità sarebbe quella data dalla amputazione di entrambi gli arti superiori poco sotto il gomito. E si tratta dell’unico rischio a gravità elevata dell’intera operazione.
Nel caso citato gli operatori e il personale di reparto non avevano assolutamente identificato il pericolo che abbiamo descritto.
Ancora un punto estremamente pratico: premesso che la attività di osservazione sul campo è il passaggio chiave, come organizziamo la raccolta dati?
Semplice:
– prima di tutto consideriamo i rischi a carattere più generale, quelli legati, per così dire, alla postazione di lavoro che saranno sempre (o quasi sempre) presenti nel corso della attività;
– poi dividiamo la attività in azioni sequenziali e per ogni azione verifichiamo se ci sono rischi presenti, e quali misure di miglioramento si possono pensare.
Per il resto è una normalissima valutazione dei rischi che, e qui è il bello, tramite la semplice cancellazione di alcune colonne diventa anche una istruzione operativa. Quindi abbiamo gratis l’istruzione operativa, e da questo deduciamo una domanda importante: ha un senso fare (come abbiamo sempre fatto) direttamente l’istruzione operativa di sicurezza se l’aggravio di fare anche la valutazione dei rischi della attività è praticamente zero?
Alessandro Mazzeranghi, Federica Coucourde, Riccardo Mariani
La prossima settimana PuntoSicuro pubblicherà un ulteriore articolo in cui gli autori completeranno l’analisi qui proposta affrontando la valutazione dei rischi dei processi.