Il lavoratore quale parte attiva del processo di garanzia dell’igiene e della sicurezza nel luogo di lavoro. Le responsabilità ed il trattamento sanzionatorio.

Il lavoratore quale parte attiva del processo di garanzia dell’igiene e della sicurezza nel luogo di lavoro. Le responsabilità ed il trattamento sanzionatorio.

tratta da salutesicurezzalavoro.over-blog.it, grazie a Luca

L’art. 20 D.Lgs. 81/2008 elenca gli obblighi dei lavoratori, chiamati ad una partecipazione attiva nel processo di sicurezza sul posto di lavoro.

Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro.

In particolare, i lavoratori devono contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, osservando le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale.

Per un altro verso, è interessante osservare come il carattere tendenzialmente universale della definizione di “lavoratore” che risulta dall’irrilevanza del tipo negoziale (sia esso subordinato o autonomo) si coniughi con un dato – quello appunto dell’inserimento funzionale nell’organizzazione datoriale – che da sempre rappresenta invece uno dei pilastri, ancorché non esaustivo, della subordinazione. E ci si può allora chiedere se, allargando l’orizzonte al di là della specificità della disciplina della salute e sicurezza, quest’ultima, proprio recuperando e valorizzando il concetto di

“inserimento nell’organizzazione datoriale”, non fornisca in realtà un ulteriore e significativo segnale in direzione di un ripensamento del collegamento tra il tradizionale apparato protettivo del diritto del lavoro ed il concetto di subordinazione.

Al di là dello scarso coraggio dimostrato dal legislatore escludendo dall’area della tutela un fenomeno tutt’altro che marginale ed in continua crescita come quello del lavoro domestico (si pensi in particolare alle attività di cura ed assistenza agli anziani prestate prevalentemente da donne straniere), in questa definizione balza agli occhi, da un lato, l’assoluta irrilevanza del tipo contrattuale in cui è dedotta la prestazione lavorativa e invece, dall’altro lato, la decisiva rilevanza dell’inserimento della stessa prestazione nell’organizzazione del datore di lavoro: inserimento da intendere, evidentemente, in senso funzionale, là dove l’organizzazione presa in considerazione in questa, come anche nella successiva definizione di “datore di lavoro” (art. 2, lett. b), identifica il contesto produttivo, non solamente fisico-spaziale, in cui è inserita la prestazione e di cui è responsabile lo stesso datore.

Proprio il richiamo sulla valutazione dei rischi induce a soffermarsi su un’altra “novità” del d.lgs. n. 81/2008, il quale, sempre nell’art. 2, fornisce la definizione di “valutazione dei rischi”, assente invece nel precedente decreto del 1994, intesa quale “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” (art. 2, lett. q). Oltre a tener conto di un aspetto evidenziato dalla direttiva n. 391/89/CE ma non dal d.lgs. n. 626/1994, vale a dire il miglioramento progressivo delle situazioni, tale definizione, collegandosi all’ampia nozione di “lavoratore” accolta dal d.lgs. n. 81/2008, evidenzia che i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori sono presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività: una precisazione solo apparentemente banale, perché, facendo esplicito riferimento all’organizzazione come sede e fonte dei rischi, pare evocare non solo una realtà logistico-funzionale (il luogo di lavoro ed il ciclo produttivo), ma anche lo stesso “insieme delle regole del processo” di lavoro .

Chiaramente l’utilizzo corretto delle attrezzature di lavoro, l’impiego attento e diligente delle sostanze e dei preparati pericolosi, dei mezzi di trasporto, nonché dei dispositivi di sicurezza, garantiranno un tasso di sicurezza superiore dell’attività lavorativa. Specificamente, i lavoratori dovranno utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione e segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi elencati, nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità, e fatto salvo i divieto di rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo, per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

L’attività di formazione di informazione sui rischi specifici dell’attività e dell’ambiente di lavoro non soltanto richiede di essere attivata da parte dei titolari delle posizioni di garanzia, ma anzi non può e non deve prescindere, a pena di responsabilità anche penale, dalla partecipazione attiva ed attenta dei lavoratori, come disposto dall’art. 20, lett. h) D.Lgs. 81/2008.

Altra cautela tipicamente descritta ma non iperfasicamente ricordata richiede al lavoratore di non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non siano di sua competenza ovvero che possano compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori.

Sul piano della prevenzione medica, il lavoratore dovrà sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal D.Lgs. 81/2008 o comunque disposti dal medico competente.

I lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto, devono esporre apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l’indicazione del datore di lavoro. Tale obbligo grava anche in capo ai lavoratori autonomi che esercitano direttamente la propria attività nel medesimo luogo di lavoro, i quali sono tenuti a provvedervi per proprio conto.

I lavoratori non sono esenti da pena e l’art. 59 D.Lgs. 81/2008, con il solito meccanismo sanzionatorio binario, prevede un’ipotesi contravvenzionale ed una fattispecie di illecito amministrativo.

La contravvenzione è punita con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda da duecento a seicento euro e consegue alla violazione degli obblighi di partecipazione e di collaborazione alla gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro osservando le norme specifiche, utilizzando i dispositivi di protezione e di sicurezza, segnalando le deficienze di mezzi e dei dispositivi e così via (art. 20, comma 2, lett. b)-i). Un reato simile era già previsto, ma punito meno gravemente, dall’art. 93 D.Lgs. 626/1994.

L’illecito amministrativo concerne l’esposizione della tessera di riconoscimento, negli appalti e nei subappalti, ed è identicamente sanzionato rispetto a quanto previsto dall’abrogato art. 6, comma 3, D.Lgs. 123/2007, con la sanzione amministrativa pecuniaria da cinquanta a trecento euro.

L’ultimissima considerazione che riguarda il “lavoratore”, inteso non come mero destinatario della tutela, ma come partecipe delle posizioni di garanzia nei confronti di se stesso e degli altri soggetti che operano al suo fianco (art. 20). Profili per cui il d.lgs. n. 81/2008 ha inquadrato la formazione non solo come un diritto, ma anche come un obbligo del lavoratore.

A tale proposito ci si può chiedere se questa particolare “responsabilizzazione” del lavoratore, a cui mira indubbiamente la previsione dell’obbligo di formazione, risulti irrilevante sul piano dell’accertamento delle responsabilità in caso di infortunio.

Con ciò non si vuol dire che l’adeguata e sufficiente formazione del lavoratore in materia di sicurezza esoneri sempre e comunque il datore di lavoro da qualunque responsabilità: d’altronde lo stesso d.lgs. n. 81/2008 afferma che l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati diversi dal datore di lavoro – tra cui il lavoratore – sussiste solo qualora la mancata attuazione di tali obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti, i quali sono appunto tenuti a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi gravanti su tali soggetti (art. 18, comma 3-bis).

Da ciò consegue che, ove un infortunio sia causato da un lavoratore che, pur adeguatamente formato, abbia nondimeno trasgredito i propri obblighi di prevenzione e protezione, il datore di lavoro non sarà chiamato a risponderne, ancorché in concorso con il lavoratore, solo ove dimostri di aver vigilato attivamente sull’operato del lavoratore, vale a dire avvalendosi dei poteri che l’ordinamento gli attribuisce per tutelare il suo ed altrui interesse all’organizzazione del lavoro sicura, compreso quindi il potere disciplinare.

E qui sarebbe interessante approfondire – anche se non è possibile in questa sede – il discorso sul carattere doveroso dell’esercizio dei poteri organizzativi datoriali (direttivo, di controllo e disciplinare) in relazione alla protezione di beni superiori quali quelli della salute e sicurezza.

È tuttavia evidente che ove a quel lavoratore sia stata fornita una formazione effettivamente adeguata e sufficiente ciò non potrà non rilevare in sede di valutazione delle responsabilità, proprio per l’intima connessione che la legge ha istituito tra formazione e lavoro sicuro, ferme restando ovviamente le ulteriori valutazioni relative ad eventuali corresponsabilità datoriali, come quella di cui si è appena parlato.

Ed è ovvio che, sempre in relazione ad un infortunio, i profili di responsabilità del lavoratore si aggraverebbero vieppiù nel momento in cui questi fosse venuto meno intenzionalmente al proprio obbligo formativo, nel qual caso tuttavia il datore di lavoro difficilmente potrebbe dimostrare l’insussistenza di una propria corresponsabilità nell’infortunio ove non avesse tempestivamente esercitato il potere disciplinare.

Anche recentemente la Cassazione ha affermato che “il datore di lavoro deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore, e non deve perciò limitarsi ad informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro” (Cass. pen., sez. IV, 11 agosto 2010, n. 31679).

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Alessandro Pratelli

Perito aeronautico, calsse '72. Lavora come redattore tecnico dal 1995 poi fonda AP Publishing. Appassionato di Direttive e norme tecniche. La frase che preferisce? "Se non alzi mai gli occhi, ti sembrerà di essere nel punto più in alto".