Sicurezza. Il ministero: “Un errore mettere in mora l’Italia”
19 ottobre 2011. Intervista a Lorenzo Fantini: “Sbagliato il presupposto di fondo delle contestazioni dell’Ue al Testo unico”. Giudizio positivo sull’incorporazione nell’INAIL degli ex Ispesl e Ipsema. Risorse, sanità e tagli al personale: “Condividiamo le richieste dell’Istituto: essenziale trovare insieme il modo migliore per intervenire”
ROMA – Mentre è in corso di preparazione la replica ai sei punti contestati al Testo unico in base ai quali la Commissione europea ha messo il 30 settembre scorso in mora l’Italia e il governo, il ministero del Lavoro – per voce di Lorenzo Fantini, responsabile della direzione generale delle Relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, Divisioni III e VI – anticipa al portale dell’INAIL perché il dicastero considera un errore sostanziale la procedura attivata da Bruxelles. Un atto – è la valutazione del dicastero – che, da una parte, peccherebbe di una visione eccessivamente ‘burocratica’ delle politiche di sicurezza e, dall’altra, di una visione troppo semplicista dell’assetto giuridico italiano, tutt’altro che assolutorio nei confronti delle responsabilità degli imprenditori sul fronte delle tutele alla salute dei lavoratori. Particolarmente positivo, invece, il giudizio sulla fase di start-up del processo di incorporazione nell’INAIL dell’ex Ispesl e dell’ex Ipsema: un progetto complesso che darà vita a un soggetto di rilevanza strategica in materia di prevenzione. Condivisione forte anche delle richieste dell’Istituto: dalla semplificazione delle procedure per accelerare gli investimenti alla definizione precisa delle competenze nella riabilitazione degli infortunati. “Essenziale”, sottolinea Fantini, “trovare insieme al ministero il modo migliore per intervenire”.
Avvocato Fantini, la Commissione europea ha attivato nei confronti della Repubblica Italiana e del governo una procedura di messa in mora su alcune parti del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Qual è la replica del ministero?
“Riteniamo che si tratti di un insieme di censure fondato su un presupposto di fondo sbagliato: ovvero il ritenere che le parti del dlgs 81/2008 eccepite – con particolare riferimento alle modifiche introdotte dal correttivo 106/2009 – siano volte a deresponsabilizzare il datore di lavoro. Quello che forse a Bruxelles non si valuta con la dovuta attenzione è quanto l’assetto giuridico italiano sia complesso e, semmai, fortemente stringente in senso contrario a quanto contestato. A partire dall’articolo 2087 del codice civile fino ai tanti passaggi normativi del sistema penale, infatti, il nostro è un assetto che impone in maniera molto rigorosa agli imprenditori di tutelare la salute e della sicurezza dei lavoratori. A parere del ministero, quindi, la normativa italiana – inclusi i due decreti legislativi citati – opera all’opposto rispetto a quanto obiettato dalla Commissione, considerando il datore di lavoro sempre responsabile di tutto ciò che accade in azienda. Questo è l’aspetto di fondo che cercheremo di spiegare all’Unione europea”.
I punti contestati, però, non sono pochi: sei per l’esattezza…
“Si tratta di censure di dettaglio che, a livello generale, si correlano a questa impostazione generale erronea. Una, per esempio, riguarda lo stress lavoro-correlato, la cui valutazione sarebbe stata prorogata – è la critica – attraverso le indicazioni metodologiche della Commissione consultiva. In questo caso si tratta di una censura superata dallo stesso passare del tempo: nel senso che – se anche tale proroga fosse stata concessa – in ogni caso sarebbe ormai scaduta. Potrebbe, in tal caso, esserci una sanzione, anche se personalmente non ne vedo neanche gli estremi perché il documento indica un percorso metodologico da seguire per chi vuole conseguire il livello minimo di attuazione degli obblighi di legge. Queste considerazioni valgono per contestazioni analoghe avanzate dalla Commissione in settori particolari come i volontari della Protezione civile o le società cooperative: anche in tali casi il decreto è stato già fatto. Un motivo che ci spinge a ritenere il problema ormai superato”.
Un aspetto particolarmente delicato è quello relativo alla possibile violazione dell’obbligo di valutazione dei rischi per la sicurezza per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori: una realtà che interesserebbe una platea assai ampia di aziende italiane…
“Per quanto riguarda la valutazione dei rischi, la Commissione fa leva su una vecchia sentenza nei confronti della Germania, dove si sostiene che tale documento è necessario e non può essere sostituito da un’altra dichiarazione, come succede ancora in Italia. Ebbene, innanzi tutto va evidenziato come l’autodichiarazione scomparirà nel 2012 e, quindi, un eventuale provvedimento in tal senso avrebbe un arco temporale di rilevanza molto limitato. Altro aspetto fondamentale: ciò che il datore di lavoro afferma con l’autodichiarazione è semplicemente di avere svolto un’attività di prevenzione. E i nostri ispettori, per l’appunto, – anche in quell’area dove la documentazione può essere sostituita da un’autodichiarazione – vanno a verificare se quest’ultima sia corrispondente a verità. Le sanzioni, in breve, sono fatte sulla base dell’attività non svolta e non sul documento esibito e, a dimostrazione di questo, ne invieremo numerosi esempi a Bruxelles comminati a soggetti che pure avevano auto-dichiarato la valutazione del rischio. In definitiva – e voglio dirlo con chiarezza – credo che questo tipo di visione della Commissione europea sia fortemente burocratica perché, nel momento in cui si identifica la sicurezza con un pezzo di carta che formalizza le misure di prevenzione, a mio parere si dimostra di privilegiare un approccio più ‘fiscale’ che operativo”.
Quindi, secondo il ministero, i rischi evidenziati da Bruxelles – a partire dalla indiretta reintroduzione della “salva-manager” – non ci sono?
“Mi pare che le sentenze successive alla modifica del Testo unico tramite il decreto 106/2009 vadano esattamente in senso contrario, allargando addirittura la responsabilità del datore di lavoro. Probabilmente non sarà facile spiegarlo all’Ue – che parte da una visione del nostro sistema giuridico assai molto più semplicistica di quanto esso sia, e questo pur a fronte di altri stati dove esistono oggettivamente situazioni molto meno complesse della nostra – ma speriamo che ci stiano a sentire”.
Veniamo adesso all’INAIL, impegnato – a seguito della legge 122/2010 – nel processo di incorporazione dell’ex Ipsema e dell’ex Ispesl. Che valutazione dà del cammino svolto fino a ora?
“Ritengo in generale che la scelta di promuovere un unico Polo della salute e sicurezza sia stata molto saggia e sottolineo come particolarmente apprezzabile la scelta operata dai vertici di conferire una reale autonomia a un settore importante come quello della ricerca. In questa prima fase di realizzazione stiamo assistendo, dunque, all’attuazione di un progetto complesso, ma necessario, dal momento che la diversificazione delle competenze tra INAIL, Ipsema e Ispesl non aveva per molti aspetti un’autentica ragione di essere.
Esistono delle criticità, a suo giudizio, da evidenziare?
“Non sostanziali. Ricordiamo che il traguardo finale da raggiungere non è facile, e questo anche per ragioni strettamente giuridiche, non essendo i regimi dei soggetti interessati del tutto coincidenti. So che esiste anche una certa ‘tensione’ sul fronte della tempistica, ma credo che sia una preoccupazione ingiustificata, non solo perché si tratta di un percorso articolato che naturalmente non può interessare un arco temporale breve, ma soprattutto perché l’obiettivo di fondo è garantito da un’integrazione reale ed efficace tra le diverse attività coinvolte. A parere del ministero l’integrazione sta procedendo bene e l’eventualità di possibili ‘disagi’ resta comunque secondaria in vista della realizzazione di un Ente unico – con un unico indirizzo politico in materia di prevenzione – e, dunque, più capace di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori”.
Proprio in virtù di questo riconoscimento non trova contraddittorio il permanere – rimarcato ormai in numerose occasioni da tutti i vertici dell’INAIL – di un apparato normativo spesso farraginoso e che rischia di limitare l’operatività dell’Istituto?
“Partiamo da un presupposto di fondo: introdurre elementi di cambiamento in attività complesse come quelle che interessano anche l’INAIL e che sono legate alla lotta agli infortuni, alla prevenzione e alla sanità richiede necessariamente del tempo. E’ chiaro che tutti vorremmo risultati immediati, ma in certi contesti l’attesa è inevitabile. Questo, ci tengo a sottolinearlo, lo dico in riferimento a tutto il Testo unico, che ha circa 30 provvedimenti di attuazione: alcuni già emanati, altri in fase di preparazione. Sono interventi che richiedono numerosi passaggi istituzionali e un confronto stretto con le parti sociali e che, pertanto, non si possono esaurire nello stretto giro di qualche mese”.
Entrando nel dettaglio: in materia di sanità la definizione delle competenze tra i vari soggetti che agiscono nel territorio – rimarca il presidente del Civ INAIL Lotito – è legata all’ancora mancante definizione dell’accordo quadro della Conferenza Stato/Regioni…
“Credo sia opportuno fare uno sforzo di realismo e capire che alcuni tempi lunghi sono ‘obbligatori’. Però credo anche che il processo di INAIL relativo alla definizione di un nuovo concetto di riabilitazione del soggetto infortunato – che abbiamo voluto esplicitare in modo preciso nel decreto legislativo 106 – è una finalità che l’Istituto stia già perseguendo. Spesso le previsioni ottimistiche delle norme di legge non possono essere rigidamente rispettate, ma questo per la semplice ragione che i passaggi istituzionali da adempiere sono tanti, soprattutto in un paese dalla forte rappresentanza sindacale come il nostro. Questo, naturalmente, non significa che non si debba richiamare, quando è il caso – come spesso fanno i politici – le amministrazioni a una maggiore celerità”.
Altro fronte “caldo” per l’Istituto: la possibilità di disporre in modo autentico dei due miliardi di risorse stanziate dalla determina 98 del 13 ottobre 2010 del presidente Sartori e destinate, per metà, agli investimenti di ricostruzione in Abruzzo…
“In tal caso posso dare una risposta solo a titolo personale perché la struttura che si interfaccia con l’INAIL in tale ambito non è quella in cui lavoro. Ritengo senza dubbio che una semplificazione delle procedure decisionali e di impegno di spesa sia necessaria, e anzi rappresenti una delle priorità da realizzare per consentire all’Istituto di utilizzare con rapidità le proprie risorse. Un intervento del genere – lo ricordo – è stato già fatto per alcuni investimenti in materia di salute e sicurezza, riuscendo a rendere le procedure più celeri: un esempio è rappresentato dai 60 milioni di stanziamenti relativi al primo “Click day” e – a nome del ministero del Lavoro – non posso che essere molto contento che altri 180 milioni vengano messi a disposizione nel prossimo bando. A mio parere si tratta di un bel segnale”.
Quindi intervenire si può?
“A mio parere, mi sembra che in questa direzione ci stiamo già muovendo. Però bisogna anche essere chiari. La ‘semplificazione’ – ma qui non faccio assolutamente riferimento alle richieste avanzate dai vertici dell’Istituto – non può andare a scapito delle regole che un soggetto pubblico deve comunque rispettare. Sollecitare il ministero del Lavoro a snellire la burocrazia è opportuno, e di certo rappresenta una richiesta che trova nel dicastero un interlocutore disponibile, ma questo non potrà mai tradursi in una ‘deregolamentazione’ di procedure che, per essere attuata, dovrebbe andare necessariamente a favore di tutto il settore pubblico, e non di un solo soggetto. Ciò non toglie che, nel caso dell’INAIL, possiamo impegnarci – come stiamo facendo – per rendere più agevoli alcuni passaggi e più rapidi i collegamenti tra noi e l’Istituto. Ma, per quanto più snelli, i processi amministrativi alla fine rimangono tali. Per essere ancora più chiaro, attraverso un esempio: il ministero può essere d’accordo su un dato investimento, ma non potrebbe comunque mai saltare il passaggio della Corte dei Conti”.
Lo stesso discorso vale per la legge Brunetta in relazione ai tagli del personale dell’Istituto, secondo il presidente Sartori e il direttore generale Lucibello ormai alla soglia limite?
“Certo, perché anche la riforma Brunetta coinvolge tutto il sistema pubblico. Mi rendo conto che il momento storico ed economico non è semplice, ma credo che in generale – almeno per quanto riguarda il ministero del Lavoro – sia possibile trovare spazio per potere favorire l’attività alla quale è chiamato l’INAIL per rendere alcuni passaggi più rapidi. Anche perché, alla fine, operiamo per uno stesso obiettivo comune: arrivare a sostenere quanto più possibile l’attività di prevenzione, attività che è sinonimo di più salute e sicurezza a favore dei lavoratori. Le richieste dell’INAIL sono condivise: quello che è essenziale è trovare insieme il modo migliore per intervenire”.