Responsabilità di un preposto per infortunio ad una lavoratrice
Cassazione Penale, Sez. 4, 01 dicembre 2010, n. 42469 – Responsabilità di un preposto e mancata idonea regolazione dello schermo protettivo del trapano a colonna.
All’imputato è stato addebitato il delitto di cui all’art. 590 c.p., commi 1, 2, e 3, per avere, quale preposto ad un reparto lavorazioni in alluminio, per colpa consistita nella violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, commi 1, cagionato alla lavoratrice N. lesioni personali gravissime omettendo di attrezzare il trapano a colonna in modo idoneo ai fini della sicurezza in relazione al lavoro da svolgere, posizionando il riparo del trapano in zona di difesa in modo non corretto, in quanto non copriva il totale avanzamento dell’utensile a sfiorare il piano di lavoro e faceva sì che l’utensile agganciasse il guanto di protezione della mano destra della donna: guanto che, trascinato in rotazione determinava l’amputazione del secondo dito della mano dx.
Ricorso in Cassazione – Rigetto.
La Suprema Corte afferma che “la Corte di merito ha applicato correttamente i principi di diritto relativi alla addebitabilità della colpa, evidenziando che le omissioni accertate sono da riportare alla posizione di garanzia che caratterizza la responsabilità del preposto entro i confini del corretto esercizio delle competenze tecniche, tutte proprie della sua qualifica e delle sue mansioni.
La menzione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1 operata in rubrica non sposta, diversamente da quanto ritiene il secondo motivo di ricorso, sulle sole condotte esigibili dal datore di lavoro il pur preciso addebito legato all’art. 590 c.p., e ad una specifica condotta inscrivibile in quella regolazione generale posto che il combinato dell’art. 34 e del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 5, comma 2, lett. a) bene pone in evidenza i poteri e le responsabilità del preposto in materia di tutela della salute e prevenzione degli infortuni.
La sentenza di appello individua la causa dell’infortunio nella mancata idonea regolazione della posizione dello schermo protettivo che sale e scende in sincrono col mandrino del trapano a colonna.
In fatto lo schermo non copriva e non schermava in alcun modo la punta rotante del trapano (testi Z. e D.F. servizio prevenzione Asl sentenza pgg 3-4)).
La causalità della colpa è individuata, con esplicita motivazione sul punto, in un compito di regolazione/macchina che spetta, operazione per operazione, ad un operativo e non, certamente, al datore di lavoro.
La sentenza accerta ancora e, motivatamente, che, laddove le omissioni fossero mancate, l’infortunio sarebbe stato certamente evitato. Tanto basta a rigettare la censura formulata come seconda.”
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe
Dott. ZECCA Gaetanino
Dott. FOTI Giacomo
Dott. D’ISA Claudio
Dott. MASSAFRA Umberto
– Presidente
– rel. Consigliere
– Consigliere
– Consigliere
– Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) M.C. N. IL ****;
avverso la sentenza n. 3395/2009 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 18/12/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 09/07/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ZECCA Gaetanino;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. DE SANDRO Anna Maria la quale ha concluso per la inammissibilità del ricorso.
Fatto
La Corte di Appello di Bologna con sentenza pronunziata il 18/12/2009 (e depositata il 1/2/2010) ha confermato la sentenza di condanna resa il 3/4/2008 dal Tribunale di Modena, Sezione di Carpi, che ha ritenuto M.C., preposto al reparto lavorazioni in alluminio di tale ditta S., responsabile del delitto di lesioni colpose gravissime cagionate il *** con violazione di norme antinfortunistiche, ritenute le concesse attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, e lo ha condannato alla pena di Euro 200,00 di multa e al risarcimento del danno da liquidarsi innanzi al giudice civile.
L’Imputato M. ha proposto ricorso per cassazione per ottenere l’annullamento del provvedimento appena sopra menzionato.
All’udienza pubblica del 9/7/2010 il ricorso è stato deciso con il compimento degli incombenti imposti dal codice di rito.
Diritto
Il ricorrente censura:
1) manifesta illogicità della sentenza impugnata, risultante dagli atti del processo, per avere la Corte ritenuto la responsabilità del M., pur nell’impossibilità di ricostruire le modalità dell’infortunio (sulla base delle testimonianze dirette considerando che l’infortunata stessa non era stata in grado di ricordare l’accaduto e i testi qualificati avevano ispezionato la macchina ad alcuni giorni di distanza dai fatti. Il ricorrente argomentava in ordine alle concrete modalità di lavorazione che avrebbero richiesto necessariamente l’aggiramento, ad opera della mano del lavoratore, della protezione della macchina e riteneva che tali concrete modalità scardinassero radicalmente il ragionamento su cui la sentenza aveva fondato la responsabilità per cattiva collocazione della maschera di protezione specificamente addebitata all’imputato a aprissero il varco a causalità alternative tutte equivalenti ancorché non rapportabili ad una omissione dell’imputato per avere, quale preposto, male attrezzato la macchina.
2) falsa applicazione della legge penale per l’erronea individuazione nell’imputato del soggetto gravato della posizione di garanzia.
La posizione di garanzia del preposto che ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 19 per la parte in cui la nuova norma rappresenta una sintesi di tutto l’assetto della precedente giurisprudenza in materia, deve sovrintendere e vigilare, informare, verificare, frequentare corsi di formazione, è definita in termini che non lasciano spazio a imputazioni che riguardano le omissioni di cautele relative alla organizzazione del lavoro incombente su altri soggetti (datori di lavoro e dirigenti);
3) mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di concessione all’imputato dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, pur in presenza (dichiarazione 14/12/2009 a firma della parte civile che aveva in conseguenza rinunziato a comparire) di un avvenuto e riconosciuto integrale risarcimento del danno.
Necessità di chiarezza impone di rammentare che al M. è stato addebitato il delitto di cui all’art. 590 c.p., commi 1, 2, e 3, per avere, quale preposto ad un reparto lavorazioni in alluminio, per colpa consistita nella violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, commi 1, cagionato alla lavoratrice N. lesioni personali gravissime omettendo di attrezzare il trapano a colonna in modo idoneo ai fini della sicurezza in relazione al lavoro da svolgere, posizionando il riparo del trapano in zona di difesa in modo non corretto, in quanto non copriva il totale avanzamento dell’utensile a sfiorare il piano di lavoro e faceva sì che l’utensile agganciasse il guanto di protezione della mano destra della donna: guanto che, trascinato in rotazione determinava l’amputazione del secondo dito della mano dx.
Ciò posto è anche da chiarire che la contestazione mossa, aveva riguardo a specifiche condotte omissive caratterizzate da negligenza, imperizia e imprudenza, e tutte relative a compiti propri del preposto e caratteristici della sua posizione di preminenza tecnica e gerarchica.
L’attrezzaggio di una macchina con modalità incongrue rispetto alla singola lavorazione da svolgere in un determinato momento non rientra certo nei compiti di investimento, previsione, predisposizione, e controllo propri del datore di lavoro.
La Corte di merito ha applicato correttamente i principi di diritto relativi alla addebitabilità della colpa, evidenziando che le omissioni accertate sono da riportare alla posizione di garanzia che caratterizza la responsabilità del preposto entro i confini del corretto esercizio delle competenze tecniche, tutte proprie della sua qualifica e delle sue mansioni. La menzione del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 35, comma 1 operata in rubrica non sposta, diversamente da quanto ritiene il secondo motivo di ricorso, sulle sole condotte esigibili dal datore di lavoro il pur preciso addebito legato all’art. 590 c.p., e ad una specifica condotta inscrivibile in quella regolazione generale posto che il combinato dell’art. 34 e del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 5, comma 2, lett. a) bene pone in evidenza i poteri e le responsabilità del preposto in materia di tutela della salute e prevenzione degli infortuni.
La sentenza di appello individua la causa dell’infortunio nella mancata idonea regolazione della posizione dello schermo protettivo che sale e scende in sincrono col mandrino del trapano a colonna.
In fatto lo schermo non copriva e non schermava in alcun modo la punta rotante del trapano (testi Z. e D.F. servizio prevenzione Asl sentenza pgg 3-4)).
La causalità della colpa è individuata, con esplicita motivazione sul punto, in un compito di regolazione/macchina che spetta, operazione per operazione, ad un operativo e non, certamente, al datore di lavoro.
La sentenza accerta ancora e, motivatamente, che, laddove le omissioni fossero mancate, l’infortunio sarebbe stato certamente evitato. Tanto basta a rigettare la censura formulata come seconda.
Il primo motivo di censura deve essere ritenuto infondato perchè al di là della formulazione in termini di denunzia di manifesta illogicità della motivazione propone invece una ricostruzione alternativa in fatto e richiede al giudice di legittimità accertamenti di merito o scelte, che non si appartengono alla funzione di legittimità tra diverse ricostruzioni del fatto.
Il terzo motivo di censura deve essere rigettato posto che il ricorrente non ha minimamente allegato le caratteristiche indispensabili del risarcimento ai fini della richiesta applicazione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, mentre dagli atti del processo la vicenda della posizione processuale della parte civile, regolarmente presente in primo grado, esclude che un risarcimento operato dopo il giudizio di primo grado possa essere preso in considerazione ai fini della concessione della attenuante.
La motivazione di diniego è dunque implicita nell’esame della vicenda processuale.
Il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.