La Cassazione sui destinatari degli obblighi di sicurezza

La Cassazione sui destinatari degli obblighi di sicurezza

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Datore di lavoro, dirigente e preposto sono, nell’ambito delle proprie competenze, destinatari degli obblighi di sicurezza sul lavoro e sono tenuti ad attivarsi per eliminare i pericoli che possono minare l’incolumità dei lavoratori.
Commento a cura di G. Porreca.

Il datore di lavoro, il dirigente ed il preposto, nell’ambito ciascuno delle proprie competenze, sono destinatari delle norme in materia di salute e di sicurezza sul lavoro ed hanno l’obbligo, ciascuno per proprio conto, di attivarsi per far eliminare i pericoli che possono minare la incolumità dei lavoratori. Questo è quanto emerge dalla lettura di questa sentenza della Corte di Cassazione che ha individuata la responsabilità del Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società a responsabilità limitata, del responsabile della sicurezza della stessa società e del direttore tecnico di cantiere per un infortunio occorso ad un lavoratore a seguito di una carenza di misure di prevenzione. La suprema Corte ha riscontrata nella circostanza una serie di rimpalli fra le persone responsabili della gestione della società e, in risconto a chi ha inteso individuare la responsabilità dell’accaduto nello stesso lavoratore infortunato, ha sostenuto che l’attuazione degli obblighi in materia di sicurezza sul lavoro non è delegabile al lavoratore stesso non essendo possibile riconoscere  in capo a quest’ultimo, al contempo, la qualifica di debitore e creditore  dei doveri di sicurezza.

Il caso

Il Presidente del Consiglio di Amministrazione della società, il preposto alla sicurezza nei luoghi di lavoro ed direttore tecnico del cantiere addetto all’osservanza del piano di sicurezza erano stati ritenuti responsabili e condannati dal Tribunale, ciascuno alla pena ritenuta di giustizia, per il delitto di lesioni colpose gravi avvenute in danno di un operaio dipendente il quale, mentre con l’aiuto di un collega stava effettuando lo smontaggio di un tubo di rilevanti dimensioni, veniva colpito dallo stesso ad una gamba.

Avverso tale sentenza tutti e tre gli imputati hanno fatto ricorso prima alla Corte di Appello, che ha però confermata la condanna di primo grado, e quindi alla Corte di Cassazione. Il Presidente del Consiglio di Amministrazione ha reclamato l’esonero da responsabilità perché in azienda era presente un responsabile alla sicurezza investito di formale e specifica designazione, il preposto alla sicurezza, dal canto suo, addebitava alla persona offesa la responsabilità dell’infortunio, in quanto lo stesso era stato preposto al controllo della specifica fase lavorativa entro la quale l’evento infortunistico era maturato, e l’infortunato, a sua volta, lamentava che la responsabilità dell’inosservanza delle norme antinfortunistiche fosse stata estesa a lui quando, invece, essa era stata assunta per designazione ricevuta dal preposto alla sicurezza.

Il ricorso e le decisioni della Corte di Cassazione
I tre ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dalla Corte di Cassazione e nel far ciò la stessa ha condiviso le conclusioni dei giudici di primo e secondo grado i quali avevano individuata la responsabilità sia del legale rappresentante della società che del socio designato alla attuazione delle norme antinfortunistiche e del tecnico che aveva il compito di controllare quella attuazione nell’ambito delle specifiche attività aziendali. Gli stessi, secondo la Corte suprema, erano stati correttamente ritenuti compresi tra i destinatari delle norme di legge in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro per la decisiva ragione che ciascuno di essi era perfettamente al corrente delle pericolose prassi operative invalse per lo smontaggio e la posa a terra dei grossi tubi presenti nella realtà aziendale e nessuno di essi aveva concretamente fatto qualcosa pur avendo rispettivamente l’obbligo di conoscere, di segnalare e di rimuovere il pericolo per l’incolumità dei lavoratori insito nelle citate prassi. Da ciò, ha proseguito la Sez. IV “la logica conclusione che ciascuno degli imputati non può considerarsi esente da responsabilità per l’evento infortunistico patito dal lavoratore oggettivamente riconducibile alla prassi pericolosa alla quale costui si era attenuto”.

La Sez. IV, infine, non ha accolta la tesi difensiva secondo la quale all’infortunato andava addebitata la responsabilità per il fatto accadutogli in quanto delegato all’osservanza delle norme poste a tutela della sua salute in quanto trattasi “di una tesi contraria alla ratio legis, la quale non prevede che l’attuazione degli obblighi in materia di sicurezza nell’ambiente di lavoro sia delegabile al lavoratore, non potendosi in capo a quest’ultimo riconoscersi al contempo la qualità di debitore e creditore dei doveri di sicurezza a garanzia della salute di sé medesimo”.

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