Responsabilita’ 231: societa’ assolta grazie al modello organizzativo
tratta da puntosicuro.it, commento a cura di Anna Guardavilla.
Tribunale di Milano: prima sentenza di assoluzione di una società dalla responsabilità amministrativa (D.Lgs. 231/01) per aver adottato un idoneo modello organizzativo. Analogie con l’esimente nell’ambito della sicurezza sul lavoro. Responsabilità amministrativa dell’Ente: il modello organizzativo può rappresentare una reale esimente
Con una importante sentenza del 17 novembre 2009, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano ha assolto una Società per Azioni operante nel settore delle costruzioni dalla responsabilità amministrativa prevista dal D.Lgs. 231/01 per aver adottato già dal 2003 un idoneo modello organizzativo idoneo a prevenire nella fattispecie, tra gli altri, il reato di aggiotaggio informativo (reato consistente nella diffusione di notizie false e idonee a provocare una sensibile alterazione del valore delle azioni).
L’articolo 25-ter (“Reati societari”) del decreto 231 prevede infatti che “in relazione ai reati in materia societaria previsti dal codice civile, se commessi nell’interesse della società, da amministratori, direttori generali o liquidatori o da persone sottoposte alla loro vigilanza, qualora il fatto non si fosse realizzato se essi avessero vigilato in conformità degli obblighi inerenti alla loro carica, si applicano le seguenti sanzioni pecuniarie: […] r) “per il delitto di aggiotaggio, previsto dall’articolo 2637 del codice civile, la sanzione pecuniaria da duecento a cinquecento quote”.
L’art. 2637 (“Aggiotaggio”), a sua volta, prevede che “chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari, è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni.”
Passando dall’analisi del reato presupposto al principio generale, va detto che questa pronuncia di assoluzione – la prima a partire dall’entrata in vigore del decreto 231 del 2001 – dimostra concretamente che la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche non è una forma di “responsabilità oggettiva” bensì trova il proprio presupposto in un difetto di organizzazione, consistente nell’omesso controllo sull’operato dei dirigenti o dei soggetti posti in posizione subordinata a quelli in posizione apicale, nonché nella mancata adozione di validi e idonei protocolli di condotta aziendale.
La decisione del GIP di Milano mette infatti in luce in maniera chiara che ciò che collega la responsabilità penale di un soggetto fisico appartenente ad un Ente alla responsabilità amministrativa a carico dell’Ente stesso è un presupposto di colpa organizzativa, che si traduce, come è stato osservato, nell’impossibilità di applicare la sanzione alla persona giuridica, qualora non si riescano a dimostrare – in virtù dell’assenza di un modello organizzativo preventivo – carenze organizzative sulle quali poggia un sottostante giudizio di “rimproverabilità”, che esprime l’essenza della colpevolezza dell’organismo collettivo.
Ciò trova la sua espressione nell’art. 6 del D.Lgs. 231/01 (“Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente”), applicato nella pronuncia in esame dal Tribunale di Milano, che prevede che se il reato è stato commesso da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso, l’ente non risponde se prova che:
a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
b) il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo;
c) le persone hanno commesso il reato eludendo fraudolentemente i modelli di organizzazione e di gestione;
d) non vi e’ stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b).
Secondo la giurisprudenza, “i modelli debbono necessariamente rispondere alle esigenze previste dal comma 2 dell’art. 6 citato, ovverosia individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati (nell’ipotesi evidentemente di predisposizione dei modelli prima della commissione del fatto, come prevede l’art. 6), prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire, prevedere l’istituzione di un organismo di vigilanza deputato a verificarne il buon funzionamento, individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati, prevedere specifici obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli e, infine, introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello organizzativo […].” (Ordinanza del GIP presso il Tribunale di Roma del 4 aprile 2003.)
Si ricorda qui che tra i c.d. “reati presupposto” contemplati dal D.Lgs. 231/2001 sono presenti, a partire dal 25 agosto 2007, i reati di:
– omicidio colposo aggravato dall’inosservanza delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 589 c.p.);
– lesioni personali colpose gravi e gravissime commesse con inosservanza delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art. 590 in comb. disp. art. 583 c.p.).[1]
Presupposto minimo perché si abbia applicazione del D.Lgs. 231/2001 in materia di salute e sicurezza è, dunque, che ricorra l’ipotesi di lesioni colpose gravi o gravissime, per le quali occorre fare riferimento all’art. 583 del codice penale:
“Art. 583 Circostanze aggravanti.
La lesione personale è grave, e si applica la reclusione da tre a sette anni:
1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un’incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni;
2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo;
La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;
2) la perdita di un senso;
3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;
4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso.”
Va poi osservato che tali reati presuppongono una colpa specifica [2] in quanto la legge richiede che – come recita l’attuale rubrica dell’art. 25-septies novellata dall’art. 300 del D.Lgs. 81/2008 – essi siano stati commessi con “violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro”, quindi, ad esempio, di quelle contenute nel D.Lgs. 81/2008 o in fonti esterne a tale decreto.
Non va dimenticato che l’applicazione delle disposizioni sulla responsabilità amministrativa consegue ai reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose gravi e gravissime commessi in violazione delle norme prevenzionistiche derivanti non solo da infortunio ma anche da malattia professionale.
Si ricorda, in ultimo, che l’articolo 30 del D.Lgs. 81/2008 ha previsto una specifica disciplina avente ad oggetto i modelli di organizzazione e gestione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, integrativa di quella contenuta negli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 231/01, e che ai sensi dell’art. 16 del medesimo decreto 81 (delega di funzioni) “l’obbligo” di vigilanza posto in capo al delegante sul corretto espletamento delle attività delegate “si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all’articolo 30, comma 4”.
Note
1. Articoli 589 e 590 cod. pen. così come modificati dal D.L. 23 maggio 2008 n. 92 (G.U. n. 122 del 26 maggio 2008).
2. Ai sensi dell’articolo 43 del codice penale, per “colpa specifica” si intende l’“inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.
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