Sicurezza delle macchine: rassegna di sentenze 2010 della Cassazione

Sicurezza delle macchine: rassegna di sentenze 2010 della Cassazione

tratta da puntosicuro.it

La sicurezza delle macchine vista attraverso una rassegna di sentenze emesse dalla Cassazione nel 2010: valutazione dei rischi, marcatura CE, responsabilità del datore di lavoro/dirigente, rischi da interferenza. A cura di Anna Guardavilla.

Ospitiamo un contributo di Anna Guardavilla che prende in esame alcune importanti sentenze emesse dalla Cassazione nel 2010 in materia di sicurezza delle macchine, con particolare riguardo ai temi della valutazione dei rischi, del valore e della funzione della marcatura CE, del rapporto tra la responsabilità del datore di lavoro/dirigente e l’epoca dell’acquisto del macchinario, del coordinamento e della gestione dei rischi da interferenze in caso di interventi sulle macchine appaltati a terzi, delle procedure necessarie per l’effettuazione degli interventi sulle macchine e infine delle responsabilità del fabbricante.

L’intervento è diviso in due parti: la seconda sarà pubblicata la prossima settimana.

Ulteriori temi inerenti alla sicurezza delle macchine sono poi affrontati nella rassegna di sentenze del 2010 riportata in allegato in calce all’articolo.

In Cass. Pen. Sez. IV, 26 maggio 2010 n. 20044, la Corte si è pronunciata sulle responsabilità per un infortunio causato da una macchina obsoleta, modificata e priva di conseguenti interventi di sicurezza (mentre l’obbligo di istruzione sull’utilizzo della macchina in questo caso era stato adempiuto).
Nella fattispecie, l’infortunio era occorso ad una lavoratrice somministrata con mansioni di operaia elettromeccanica che effettuava la trafilatura di filo di alluminio per la realizzazione di cavi elettrici. L’operaia aveva il compito di posizionare i rocchetti sui quali il filo di rame doveva essere avvolto e di toglierli allorché gli stessi erano pieni.  A tal fine, la donna era stata istruita, per circa venti giorni, sull’utilizzo della macchina e sulle attività da svolgere.
La dinamica dell’infortunio era stata la seguente: “in conseguenza della frantumazione di un organo rotante, specificamente di una puleggia in ghisa lamellare che ruotava a circa 5000 giri al minuto, la lavoratrice era stata colpita, al capo e ad una gamba, dai frammenti della puleggia che avevano perforato il carter metallico di protezione degli organi rotanti.”
Erano stati ritenuti responsabili il delegato alla sicurezza dei luoghi di lavoro ed il preposto responsabile del coordinamento impianti e manutenzione.
La Corte ricorda che “la macchina “SAMP 2” era stata prodotta nel 1974 ed […] era stata acquistata dall’azienda che, dopo l’esecuzione di taluni interventi di sicurezza, l’aveva messa in produzione. Qualche tempo dopo, poiché non rendeva un prodotto di qualità, erano state eseguite delle modifiche tecniche che avevano reso necessarie la tornitura e la foratura della puleggia. Tali modifiche, che avevano comportato l’indebolimento della stessa puleggia, hanno avuto, un ruolo decisivo nella determinazione dell’evento, unitamente agli originari difetti dovuti anche alla vetustà della macchina.”
La Corte d’Appello aveva anche rilevato che “tali modifiche erano state apportate da persone che non avevano specifica competenza circa le caratteristiche dei materiali degli organi rotanti e che non si erano neanche resi conto che, a seguito delle modifiche, la puleggia non aveva più alcuna funzione, per cui poteva essere rimossa.”
La medesima Corte aveva anche osservato “che tali modifiche imponevano una nuova valutazione del rischio, oltre che una verifica complessiva del macchinario e l’apposizione di una nuova marchiatura “CE”, mai realizzata. Così come non erano state realizzate importanti innovazioni tecnologiche che avrebbero reso la macchina più sicura.”
La Cassazione conferma il giudizio della Corte d’Appello:“All’iniziale profilo di colpa, costituito dall’avere messo in produzione una macchina ormai obsoleta, senza valutare compiutamente i rischi per la sicurezza connessi a tale utilizzo, si è aggiunto altro profilo di colpa costituito dalla mancata valutazione delle conseguenze, ancora sotto il profilo della sicurezza, che sarebbero derivate dagli interventi eseguiti sulla puleggia e sull’affidamento degli stessi a personale scarsamente qualificato.”
Infatti il personale cui erano stati affidati tali interventi “non si era reso conto dell’intrinseca fragilità del pezzo dovuta alla sua originaria costituzione ed agli interventi di saldatura né dell’aggravarsi di tale condizione a causa proprio delle modifiche dagli stessi eseguite, né si erano resi conto dell’inutilità della puleggia che avrebbe potuto tranquillamente essere rimossa senza danni per la produzione.”
Secondo la Suprema Corte, “in sostanza i due imputati, garanti, in ragione delle rispettive qualità, della sicurezza del luogo di lavoro e degli impianti, avevano non solo messo in produzione una macchina di vecchia concezione, ormai obsoleta, e quindi poco rispondente alle esigenze di sicurezza, non solo non avevano eseguito le necessarie opere di manutenzione e di aggiornamento in funzione antinfortunistica, ma vi avevano fatto eseguire interventi che l’avevano resa ancor meno sicura, peraltro affidandosi all’opera di personale per nulla qualificato.”
E “giustamente, peraltro, non è stata accolta la tesi difensiva, secondo cui della intrinseca fragilità della puleggia i due imputati non potevano rendersi conto, essendo tale difetto occulto e non facilmente rilevabile. In realtà tale difetto, seppur originariamente occulto, si era tuttavia certamente disvelato al momento della esecuzione dei lavori di foratura e di tornitura”.
In ogni caso “gli imputati hanno consapevolmente scelto di utilizzare una macchina vecchia di anni e superata da nuove e più sicure tecnologie. La scelta, in sé legittima, avrebbe tuttavia dovuto indurli a considerare con la massima attenzione i temi della sicurezza, che non potevano essere limitati alla copertura degli organi rotanti, ma dovevano tendere ad un complessiva revisione della macchina, per renderla al passo con lo standard di sicurezza delle macchine più moderne.”

In Cass. Pen. Sez. IV, 25 maggio 2010 n. 19624, la Corte si è pronunciata sulle responsabilità del Presidente e dei componenti del CDA, del direttore di produzione, del preposto e di un dirigente della Committente da un lato e del Presidente del CDA della Cooperativa  dall’altro, per l’infortunio ad un lavoratore della Cooperativa cui era stata appaltata la fornitura dei servizi di pulizia, facchinaggio e simili.
In particolare, il lavoratore si era infortunato, riportando l’amputazione di dita della mano destra, mentre operava su una macchina confezionatrice di riso: “si era accertato che la zona in cui si muovevano i rulli che trascinavano la pellicola plastica, necessaria per il successivo confezionamento del prodotto, era protetta da un coperchio apribile che avrebbe dovuto avere nella parte mobile un eccentrico che, al momento dell’apertura della protezione, avrebbe azionato un microinterruttore per l’arresto della macchina. Tale eccentrico mancava nel coperchio. La mano del lavoratore era stata afferrata tra i rulli di trascinamento della pellicola in un momento in cui la zona di movimento dei rulli non era protetta perché era stato aperto il coperchio per pulire i cilindri e non aveva funzionato il microinterruttore di sicurezza per l’arresto della macchina, non azionato per mancanza dell’eccentrico.”
La Cassazione rileva che “all’interno dello Stabilimento vi erano gravi carenze sia organizzative per quanto riguardava la sicurezza delle macchine sia di coordinamento con i lavoratori della Cooperativa tanto che qualsiasi operatore poteva disattivare le protezioni delle macchine per meglio lavorare. Proprio perché era carente il controllo sull’osservanza delle disposizioni di sicurezza, era stato possibile eliminare l’eccentrico che azionava l’interruttore di sicurezza quando si apriva la protezione dei rulli.”
Gravissima era poi l’omissione relativa ad una corretta gestione dei rischi da interferenze: “essendopacifica l’interferenza tra l’attività dei lavoratori della Committente e quella di dipendenti della Cooperativa, dovevano essere adottate tutte le misure organizzative e di coordinamento necessarie a garantire ai dipendenti che venivano utilizzati anche nella produzione condizioni di sicurezza.
Queste, invece, mancavano nel caso in esame in cui la persona offesa lavorava alla macchina confezionatrice priva di blocchi di sicurezza.”

In Cass. Pen. Sez. IV, 25 maggio 2010 n. 19618, l’infortunio si è verificato durante le operazioni di riposizionamento di una pesante pressa all’interno di una azienda esercente attività di stampaggio di materie plastiche, operazioni eseguite, con i propri due dipendenti, da una ditta di trasporti, e con l’intervento di un capo reparto della Committente e di altri dipendenti della stessa ditta. Nel corso di tali operazioni si era verificato lo sbilanciamento ed il successivo ribaltamento della pressa che era andata ad investire i due lavoratori.
In particolare,si è accertato che le operazioni di riposizionamento della pressa, del peso di 5.300 chilogrammi, appena revisionata dalla ditta produttrice e restituita alla azienda, erano state da questa affidate alla ditta di trasporti che, per assolvere all’incarico, aveva inviato i propri due dipendenti, che erano stati dotati di una gru montata su un autocarro, di tre carrelli o “carri armati” e di due martinetti idraulici, privi, tuttavia, di misuratore del livello di innalzamento.
Giunta la pressa, dunque, si era dapprima provveduto, all’esterno del capannone dell’azienda, a prelevarla dal mezzo di trasporto, dopo averla imbracata con le funi ed averla sollevata con la predetta gru, quindi a posizionarla sui carrelli, costituiti da piccole piattaforme fornite di ruote che consentivano lo spostamento del carico.
Il posizionamento era avvenuto utilizzando tutti e tre i carrelli a disposizione, uno dei quali, quello posto anteriormente, era del tipo detto “a ralla (timone) oscillante” che consentiva una rotazione di 360 gradi e quindi di guidare il carico nella direzione voluta (gli altri due erano “a ralla fissa”, cioè con capacità di muoversi solo in avanti o all’indietro).
La pressa era stata spinta, con l’aiuto dei dipendenti della committente, diretti dal capo reparto, all’interno del capannone verso il luogo del definitivo posizionamento.
Giunti sul posto, erano stati collocati sotto la pressa, sui suoi lati più lunghi ed in prossimità dei due carrelli “a ralla fissa”, e quindi dal lato opposto rispetto al carrello “a ralla oscillante”, i due martinetti, azionati manualmente dai dipendenti dell’azienda di trasporti. Sollevata la pressa di circa 12 cm e sfilati i due carrelli fissi, si era proceduto all’inserimento nel fondo della macchina dei “piedini antivibranti”; così a causa dell’asimmetrico sollevamento effettuato con i martinetti, la pressa, sbilanciata, si era rovesciata travolgendo i due lavoratori.
I profili di colpa individuati sono i seguenti:
“Per il datore di lavoro committente
– “l’aver commissionato l’esecuzione di tale operazione ad un’impresa non in grado di assolvere all’incarico con il rispetto delle modalità tecniche necessarie per operare in sicurezza; incapacità che doveva essere ben nota all’imputato, avendo tale impresa in passato eseguito analoghi incarichi, sempre utilizzando carrelli e martinetti, cioè strumenti inadeguati ”.
– “l’avere autorizzato il dipendente, capo reparto, coimputato, a convenire con il dipendente di effettuare l’operazione di riposizionamento della pressa utilizzando i carrelli ed i martinetti, cioè con modalità certamente più semplici e tuttavia molto pericolose”.
– “non avere provveduto ad adeguata formazione professionale dei propri dipendenti in punto di spostamento delle presse, le cui modalità erano sconosciute allo stesso capo reparto, al punto che egli ignorava che l’inserimento dei piedini antivibranti poteva avvenire dall’alto, e dunque senza che fosse necessario sollevare la pressa”.
Per il preposto (capo reparto),  “l’imprudenza e l’imperizia che avevano caratterizzato le operazioni”.
In sintesi, “la colpa degli imputati è stata essenzialmente individuata nell’avere eseguito (o consentito che fossero eseguite) in modo del tutto inadeguato, le richiamate operazioni di sollevamento, di trasporto e di riposizionamento della pressa, le cui dimensioni ed il cui peso avrebbero richiesto l’intervento di ben altre attrezzature e di ben più esperti operatori.”
Qui “la Corte, richiamando le precise indicazioni contenute nel manuale di istruzioni fornito dall’azienda costruttrice della pressa, che raccomandava particolare cautela nelle operazioni di sollevamento e di trasporto della stessa, è giunta alle seguenti conclusioni:
a) che per le operazioni di sollevamento era indispensabile servirsi di una gru (o mezzo analogo), al cui gancio dovevano essere appese le funi con le quali la macchina doveva essere preventivamente imbracata;
b) che per le operazioni di trasferimento era ugualmente necessario che la macchina, durante il trasporto da un luogo all’altro, rimanesse agganciata alla gru, ovvero, ove non fossero disponibili adeguati mezzi di sollevamento, che la stessa fosse appoggiata su almeno tre tubi, di un determinato diametro, e si provvedesse alla loro uniforme rotazione.
Inoltre “l’utilizzo, per dette operazioni, anche del personale della azienda committente – cui non era stata fornita alcuna specifica informazione circa i rischi connessi alle diverse mansioni alle quali erano stati occasionalmente assegnati – era avvenuto in assenza di un preciso piano di coordinamento tra gli interventi degli operai delle due ditte.”
In conclusione, “la circostanza che l’imputato si fosse rivolto ad un’impresa di trasporti, sia pure qualificata – pur se, nella realtà, tale non si è dimostrata – non lo rendeva indenne dall’obbligo:
1) di assicurare, in via generale, all’interno dell’azienda, le migliori e più sicure condizioni di lavoro per chiunque vi si fosse trovato ad operare;
2) di incaricare, per un’operazione tanto rischiosa, un’impresa che non fosse solo in possesso della formale specializzazione ad eseguire trasporti speciali, ma anche che, da un lato, disponesse dei mezzi e del personale adeguato allo scopo, dall’altro, che di tali personale e mezzi essa realmente si servisse nell’esecuzione dell’incarico affidatole, laddove ne era emersa l’assoluta insufficienza in occasione di precedenti analoghe prestazioni commissionate all’impresa di trasporti;
3) di curare, ove, come accaduto, fosse stato necessario, l’intervento anche dei suoi operai, sia la specifica formazione professionale degli stessi, sia il coordinamento con il personale della impresa di trasporti, laddove è emerso che nessuno degli intervenuti sapeva come operare; tanto che si è provveduto, per eseguire le operazioni di posizionamento, ad un assurdo sollevamento asimmetrico della pesante pressa che, fortemente sbilanciata, è precipitata sugli operai.”
“All’imputato doveva necessariamente riconoscersi, in ragione della sua qualità, un preciso ruolo di garanzia anche per assicurare il corretto svolgimento di attività eseguite locali della sua azienda, pur affidate ad altra impresa. Ciò, in specie, ove si consideri che egli attraverso il suo dipendente all’uopo preposto, si è decisamente ingerito nell’esecuzione di tali attività, avendo addirittura fornito il proprio personale, ma senza preoccuparsi di prendere visione delle istruzioni contenute nel manuale predisposto dal costruttore della macchina e di disporre che gli spostamenti della pressa fossero eseguiti seguendo dette istruzioni.”

Fine prima parte.

 

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Alessandro Pratelli

Perito aeronautico, calsse '72. Lavora come redattore tecnico dal 1995 poi fonda AP Publishing. Appassionato di Direttive e norme tecniche. La frase che preferisce? "Se non alzi mai gli occhi, ti sembrerà di essere nel punto più in alto".