La non responsabilità del costruttore per cessione di macchina non sicura
tratta da puntosicuro.it
Il costruttore non è responsabile nel caso in cui cede una macchina priva dei necessari requisiti di sicurezza se la stessa non deve essere successivamente utilizzata ma solo sottoposta a riparazione e revisione per poi essere immessa sul mercato.
Cassazione Penale Sezione III – Sentenza n. 40590 del 1 ottobre 2013 (u. p. 3 maggio 2013) – Pres. Gentile – Est. Grillo – Ric. (omissis).
Commento a cura di G. Porreca.
All’attenzione della Corte di Cassazione in questa sentenza è posto l’art. 23 comma 1 del D. Lgs. 9/4/2008 n. 81 con il quale il legislatore ha vietata la fabbricazione, la vendita, il noleggio e la concessione in uso di attrezzature di lavoro non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Nella sentenza che si riferisce in particolare alla vendita di una macchina per la quale il Tribunale aveva condannato il concedente essendo risultata la stessa irregolare dal punto di vista della sicurezza, la suprema Corte ha precisato che il costruttore non risponde nel caso in cui la macchina sia stata ceduta non per venire utilizzata ma per essere sottoposta a riparazione per la sua successiva immissione in mercato.
Il caso ed il ricorso in Cassazione
Il Tribunale ha dichiarato il costruttore di una macchina fresatrice colpevole della contravvenzione di cui all’art. 23 comma 1° del D. Lgs. n. 81/2008, e lo ha , condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di € 1.000,00 di ammenda. Il Tribunale, dopo aver sommariamente ricostruito i tratti salienti della vicenda, ha disattesa la tesi difensiva dell’imputato basata sulla pretesa inapplicabilità della norma violata in quanto non aderente al dettato normativo che dispone una tutela anticipata del bene-sicurezza al momento della costruzione e/o vendita, noleggio, concessione in uso del macchinario e sull’affermazione, quindi, che il momento consumativo del reato si perfeziona all’atto di una di dette circostanze (costruzione, vendita, ecc).
L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza del Tribunale mettendo in evidenza, fra le altre motivazioni, l’inosservanza e/o l’erronea applicazione della legge penale (art. 3 del D. Lgs. n. 81/2008) in quanto nella circostanza il giudice ha erroneamente equiparata la cessione della macchina ad una sua messa in circolazione non tenendo conto che, in realtà, la stessa era destinata ad altra società non per poi utilizzarla ma con la specifica ed unica finalità di essere assoggetta a riparazione dalla stessa società per poterla poi mettere successivamente in commercio.
Le decisioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso presentato dall’imputato ed ha annullata la sentenza impugnata con rinvio della stessa al Tribunale di provenienza per la sua revisione. La suprema Corte si è chiesto per prima cosa se il concetto di vendita come esplicitato nell’art. 23 del D. Lgs. n. 81/2008 debba interpretarsi in modo assoluto, come divieto di messa in commercio o in circolazione di macchina non a norma, oppure possa essere soggetto ad una deroga laddove la vendita stessa venga effettuata per un esclusivo fine riparatorio della macchina in vista di una futura utilizzazione una volta ripristinata e messa a norma ed è giunta alla conclusione che la risposta è certamente positiva, a condizione, però, che siano state accertate in concreto quali siano state le condizioni di vendita e gli obblighi gravanti sia sul venditore che sul diretto destinatario nonché il ruolo da questi esercitato (se, cioè, autorizzato a mettere a sua volta in circolazione il macchinario una volta riparato, ovvero a riconsegnarlo al venditore che può poi venderlo a terzi per un utilizzo sul mercato).
“E’ evidente, infatti”, ha sostenuto la Sez. III, “che se la cessione del macchinario non a norma è effettuata unicamente con il proposito di non metterlo in circolazione ma di affidarlo ad un soggetto (il cessionario) per la riparazione, la previsione normativa non potrà più trovare applicazione”. “Invero”, ha proseguito la suprema Corte, “è un principio di ragionevolezza, non disgiunto da una regola di ordine economico generale, quello che sta alla base della norma contestata, nel senso che, fermo restando che è vietato l’impiego di macchinari non a norma con la conseguenza che una vendita di prodotti di tal fatta è, di regola, vietata stante la conseguenzialità e normalità dell’impiego della macchina nel ciclo produttivo, nell’ottica del passaggio del prodotto industriale alla fase economica successiva (l’utilizzo), laddove quest’ultimo passaggio non vi sia (come nel caso dello stazionamento del macchinario presso una ditta specializzata esclusivamente nella riparazione per la messa a norma con compiti ben specificati che inibiscono una utilizzazione successiva mediata tramite il venditore all’origine), non può ritenersi vietata la vendita di un macchinario in quanto avente uno scopo ben circoscritto, senza alcuna previsione di utilizzazione”.
La Corte di Cassazione ha ritenuta quindi la motivazione addotta dal GUP nella sua sentenza quanto meno insufficiente avendo avuto lo stesso il dovere di accertare, previa escussione del teste, come richiesto dall’imputato, le modalità della cessione e le sue effettive finalità, se non proprio illogica nel momento in cui ha attribuito alla vendita del macchinario, sulla base della documentazione disponibile, un significato assoluto che la certificazione escludeva. La suprema Corte ha quindi in conclusione annullata la sentenza impugnata con rinvio al primo giudice affinché lo stesso verificasse in concreto quali fossero le modalità della vendita e se in effetti la ditta cessionaria svolgesse o meno attività di riparazione e di messa a norma di macchinari non in regola secondo le prescrizioni antinfortunistiche del mercato interno.